La festività di Tutti i Santi è diffusa in moltissime culture contadine ed è legata alla relazione (non necessariamente di contrapposizione) tra vita e morte.
Nella pratica, questo è il momento della semina, si mette il seme nella terra: si lascia la promessa di vita nella casa dei morti.
Si verifica dunque un passaggio, come l’apertura di una porta, ed è in questo momento, non a caso, che viene spesso indicata l’origine dei percorsi iniziatici.
La festività esisteva anche in Italia in epoca celtica, poi in epoca romana, poi nel Medioevo!
Nel Basso Medioevo in Inghilterra si consolidò l’usanza che i poveri bussassero casa per casa, il primo di novembre, chiedendo elemosine in cambio di preghiere per i morti.
Non dimentichiamo infatti che il valore della preghiera nel Medioevo era altissimo, specialmente dalla “creazione” del Purgatorio: pregare per le anime del Purgatorio significava accelerare il loro passaggio nei Cieli!
Sarà da questa usanza che è nato il “trick or treat” dei paesi anglosassoni?
Questa pratica però era anche molto diffusa nel Sud Italia: in Calabria, ad esmepio, erano proprio i bambini a bussare di porta in porta con una zucca sulla quale era intagliato un teschio, domandando offerte per le anime dei morti.
Lo racconta ad esempio l’antropologo Luigi Lombardi Satriani che nel suo “Il ponte di San Giacomo. L’ideologia della morte nella società contadina del Sud” (Rizzoli, scritto con Mariano Meligrana, accademico messinese di Storia delle tradizioni popolari, e vincitore di un Premio Viareggio per la saggistica) afferma che l’attuale forma dell’Halloween statunitense sia non una “americanata” che ci prendiamo dall’estero, ma una “Importazione di ritorno”.
Furono proprio i migranti calabresi, secondo i due ricercatori, a portare negli USA ciò che poi sarebbe diventato il moderno festeggiamento.
La mentalità medievale, con il suo mistico e insieme pragmatico mememto mori, è comunque molto attenta a questa festa e al suo significato, e in moltissime regioni italiane sopravvivono memorie e testimonianze delle celebrazioni di questi giorni. In Umbria c’è il Mercato dei Morti, così in Sicilia, in Sardegna la questua Su mortu mortu è molto antica, in Puglia si imbandisce la tavola per i morti e si fanno grandi falò, come in Val d’Aosta. I dolci a tema e i ceri alle finestre pure sono antichissimi e diffusi ovunque, in Italia.
Di recente uscita vi segnalo anche “Paure medievali” di Chiara Frugoni, che è anche piuttosto in alto nelle classifiche di vendita (evviva!)
Un passato sorprendentemente vicino, nel momento in cui con sgomento ci troviamo ad affrontare realtà che si ritenevano scongiurate da secoli, come le pandemie causate da virus, o assistiamo alle ricorrenti catastrofi ecologiche, o valutiamo i rischi – spesso portati dall’aggressiva mano dell’uomo – che minacciano il pianeta.
Il Medioevo ci parla oggi con voce forte, attraverso le tante paure che assillavano donne, uomini, bambini: paura della fine, della miseria, della fame, delle malattie, della lebbra e della peste in particolare, fino alla paura del diverso, dello straniero, degli ebrei, dei musulmani, dei mongoli. Un libro di lugubri sciagure che si susseguono, dunque? No. Un libro che pone domande, addita problemi, cerca risposte.
Non sarebbe male, a mio avviso, recuperare il memento mori e le pratiche che ci aiutano a esprimerlo e consolidarlo: se c’è una cosa che il Medioevo può insegnarci è che i riti servono, alla persona e alla collettività.
A scuola ci hanno insegnato a sorridere sarcasticamente dei fedeli che si accalcavano durante le processioni nelle quali chiedevano di essere risparmiati dalla peste, spargendo così il contagio.
Adesso, vedendo i mezzi pubblici strapieni, le fabbriche di armi aperte e una società spezzata e frammentata che lascia morire soli i suoi anziani e tratta i giovani con odio, come untori e nemici, a me non viene più tanto da ridere.
Mi chiedo se sia così disprezzabile pensare di avere un cielo sopra la testa, e considerare la comunità come un organismo che ha bisogno di cura, di riti, di ritrovi. Di feste!
Nella mentalità contadina, il ricordo dei cari che abbiamo perso (quest’anno di pandemia covid19, ahimé, sono tanti) si intreccia alla speranza di una semina che pori a un buon raccolto, e alla consapevolezza che un giorno toccherà anche a noi.
Anche noi dovremo passare quella porta, e il nostro corpo messo nella terra sarà solo la spoglia della nostra anima che fiorirà in cielo.
Nel frattempo, cari e care medievali, non dimentichiamo che la festa e la gozzoviglia sono un’altra componente imprescindibile del rito e persino del lutto.
Buon Ognissanti, dunque!
Seminiamo, preghiamo… e ricordiamoci che dobbiamo morire!
Musica!