Un testo denso e complesso, imprescindibile per capire il Medioevo meno capito
Inquisitori e inquisizione nel Medioevo, Grado Giovanni Merlo, Il Mulino 2008
Questo saggio è breve ma ha un peso specifico davvero alto: è un testo denso. Espone ed elabora concetti che non sono immediati per chi non abbia già una conoscenza pregressa di alcuni aspetti e della storia del Medioevo.
Una profana perfetta come me ha dovuto rileggerlo tre volte per avere l’impressione di afferrare più o meno tutto: ma l’esperienza è stata positiva, nonostante il tema controverso.
Merlo prende le fonti di petto e propone le letture chiare e dichiaratamente schierate. Affronta l’Inquisizione medievale dal punto di vista storico: ci permette di capire (e di scoprire) molti aspetti affatto chiari in generale; e però li legge anche dal punto di vista umano, ponendosi all’ascolto della sofferenza delle persone (inquisiti, ma anche alle volte inquisitori) e facendo domande che riacquistano un significato vivo e pressante, se messe in relazione con la funzione dell’indagine storica e con il perché di tante ricerche in tema.
Come è potuto accadere?, si chiede Merlo in appendice: cita recenti documenti nei quali la Chiesa ha cercato di affrontare il grande peccato dell’Inquisizione e dei roghi di eretici, e ricorda la cerimonia penitenziale officiata da Giovanni Paolo Secondo nel 2000.
Merlo affronta anche il tema della memoria e della sua “purificazione”, ponendo anche la questione della storia, citando passi di altri storici che non possono non turbarci.
«Questa storia che ha sempre senso sui libri e mai nella vita perché quando scriviamo i libri i forni non scottano più, le pallottole non ci fanno urlare e quando i forni e le pallottole tornano urliamo come se nessuno avesse mai urlato e il nostro fosse l’urlo della storia e la giustizia della storia fosse far tacere il nostro urlo e guarire le nostre ferite.»
Dal brano di Gustavo Vinay si profilano orizzonti filosofici e metodologici di amplissima portata che non consentono di rislovere, per dir così, storicisticamente le questioni che si presentano quando si debbano affrontare i temi relativi a inquisitori e Inquisizione (…) del medioevo.
Da “Inquisitori e inquisizione nel Medioevo”, G.G. Merlo
Insieme a queste considerazioni, però, abbiamo in primis un testo propriamente storico, di livello accademico e specialistico, che è una collezione organica di saggi. Questi saggi affrontano il tema dell’Inquisizione medievale a partire dalla sua formazione e dal suo più intimo, questionabile perché politico; passando poi all’analisi di vari altri aspetti rilevanti.
È già dall’apertura, nel primo capitolo “Alle origini di inquisitori e inquisizione” che Merlo ci dà una lettura chiara della nascita dell’Inquisizione cristiana meno conosciuta di tutte (che spesso viene impropriamente confusa con le altre successive). Una lettura che capovolge quasi i termini solitamente usati in merito.
Piuttosto che di una difficilmente definibile e assai sfuggente ‘mentalità intollerante’ di un altrettanto indefinibile e sfuggente ‘uomo medievale’, è preferibile parlare di contesto repressivo, nella piena necessità di un ripensamento rigoroso della pur meditata visione di chi interpreta il medioevo come ‘età modellata sopra una concezione del mondo unitaria e, per così dire, compatta’ da cui consegue la conclusione che ‘in un sistema simile è logica e inevitabile la ‘intolleranza’ religiosa: in un mondo tanto unitario, infatti, non sembra proprio esservi spazio per posizioni alternative o dissenzienti’; perciò l’Inquisizione sarebbe ‘la istituzione più tipica dell’intolleranza medievale’.
Da “Inquisitori e inquisizione nel Medioevo”, G.G. Merlo
C’è da chiedersi se tale rispettabilissima e coerente visione non formalizzi gli esiti di un lungo processo storico nel quale sono esistite altre possibilità e potenzialità che sono risultate perdenti e non si sono realizzate. Perché non vedere invece l’Inquisizione come esito di orientamenti e caratteri di ecclesiologia, che è al tempo stesso una politologia, con le relative ricadute sulle istituzioni e sulla società?
In pratica, per Merlo l’Inquisizione non è affatto una tipicità di un Medioevo già di per sé repressivo e “buio”, ma un fenomeno inteso come pesante e forzato già ai tempi, in un contesto che invece vedeva tante spinte diverse. Poteva andare diversamente, e invece un preciso disegno politico di dominio ha imposto un modo di procedere ideologicamente violento.
E allo stesso tempo, l’Inquisizione non è stata materialmente così violenta, come oggi la vulgata ci suggerisce (deliziandoci con immagini di domenicani che incatenano donne nude alle ruote di tortura): la violenza della “giustizia” era qualcosa di già presente nei procedimenti giuridici secolari, che torturavano d’ufficio e bruciavano ben volentieri, e in questo quadro l’inquisizione canonica ha costituito invece un fattore di freno, con pratiche più prudenti e potremmo dire “umane”.
Tutto il contrario, insomma, della narrazione comune sull’Inquisizione!
L’Inquisizione medievale, inoltre, è un’inquisizione politica e rivolta in primis a trionfare su una “minaccia eretica” già quasi del tutto eradicata con la violenza: sulla quale il papato sente il bisogno di sancire una vittoria anche storica e simbolica, costruendo una nuova concezione di ortodossia da imporre definitivamente in un quadro di potere per così dire “totalitario”, sulle anime e sui corpi. L’eretico è, insomma, il nemico perfetto sul quale costruire una narrazione nuova e oppressiva.
Nel secondo capitolo, “I frati predicatori in quanto inquisitori”, Merlo affronta il problema tanto teorico quanto pratico che consisteva nel conciliare l’ufficio evangelico con il nuovo compito giudiziario imposto da papa Gregorio IX, che scelse i domenicani, e secondariamente anche i francescani, per questo specifico compito.
Questo aspetto è affrontato anche in un altro trattato importante sul tema: “Il giudice e l’eretico” di John Tedeschi, che prende in esame l’inquisizione cinquecentesca che si delineò durante la Controriforma e che ebbe delle caratteristiche un po’ diverse dall’inquisizione romana precedente. Anche Tedeschi però riferisce di conflitti interiori degli inquisitori e degli ordini stessi, che chiesero invano di essere dispensati dagli uffici inquisitoriali. Merlo in più dà anche l’idea di un dibattito lungo, quasi continuo, perché cita e riferisce pubblicazioni e studi anche contemporanei dei domenicani stessi, che si interrogano sul tema dell’inquisizione, della loro stessa inquisizione.
(Umilmente posso dire che questi passi di Merlo e Tedeschi per me sono stati significativi nella costruzione dei personaggi degli inquisitori, nel mio romanzo. L’ambiguità e la pesantezza del potere, la presa in carico della violenza antiereticale non devono essere stati semplici da digerire, per frati che avessero una vera vocazione. Guglielmo di Baskerville de “Il nome della rosa” non ricorda con piacere il passato da inquisitore che si è lasciato alle spalle. Come lui, anche nel mio romanzo il vecchio inquisitore rivela alla protagonista Elisa tutta la fatica, il tormento che la gente comune non vedeva:
La rivalità tra i due ordini perdeva di importanza di fronte alla pesante incombenza che entrambi erano stati chiamati a svolgere. Solo loro erano inquisitori: solo i mendicanti di Francesco e i predicatori di Domenico dovevano vivere col Vangelo in una mano e nell’altra i verbali giudiziari. Solo loro convivevano con quell’assillo irrisolto.
da “La cospirazione dell’inquisitore” )
Tornando al saggio in analisi, Merlo affronta poi (nel quarto capitolo: “Frati Minori e Inquisizione”) lo stesso argomento in relazione ai francescani, se possibile ancora più tormentati in merito, ripercorrendo attraverso documenti e provvedimenti la crisi e poi l’accettazione dell’ufficio inquisitoriale da parte dei minoriti.
Non prima di aver esaminato (nel terzo capitolo: “Morte e canonizzazione di frate Pietro da Verona, inquisitore”) il case study storico dell’assassinio dell’inquisitore Pietro da Verona, ammazzato per strada a colpi di roncola da due catari insieme al confratello Domenico.
Pietro viene quasi subito reso martire e canonizzato (al contrario del povero Domenico, che pur vittima a sua volta è praticamente dimenticato) nel quadro di un preciso disegno politico di costruzione del consenso e insieme demonizzazione del nemico.
Negli ultimi tre capitoli entriamo nel merito e nel vivo del lavoro degli inquisitori:
- attraverso l’analisi del sermo generalis, quello pronunciato al termine del processo inquisitoriale con la condanna dell’eretico, visto come una “sacra rappresentazione anomala”, con esempi da sermoni e una loro modellizzazione (quinto capitolo: “Il sermone generale dell’inquisitore come sacra rappresentazione anomala”);
- con la descrizione di azioni inquisitoriali nel primo periodo di formazione dell’Inquisizione, quando non c’era ancora un vero tribunale, ma singoli inquisitori incaricati dal papa; in particolare nel territorio di Milano (la fovea hereticarum, la cloaca di eretici) che brulicava di movimenti non conformi, culti pauperistici e adorazioni di singole figure carismatiche (sesto capitolo: “Inquisitori in azione: intenti e tecniche”);
- dedicandosi a un breve focus relativo alla gestione e trasmissione dei documenti (settimo capitolo: “La memoria documentaria dell’ufficio inquisitoriale”). Gli inquisitori, in quanto inquirenti e giudici, dovevano scrivere, compilare, trascrivere, mettere in archivio: come? Cosa? E cosa ci è arrivato, dove troviamo testimonianze utili?
Di nuovo, insieme alla consapevolezza della gravità di queste memorie poliziesco-giudiziarie, ci arriva anche l’idea dell’umanità, dei problemi che i frati dovevano affrontare, tramite annotazioni sugli uffici da affittare, da arredare, sul materiale da comprare e di cui poi dover rendere conto.
Tutto ciò traspare in modo vivo, senza partigianeria o elegie improprie. Anzi, più volte Merlo sottolinea la pesantezza, la violenza di questa storia, citando episodi impressionanti come quello dell’eretico Pietro da Martinengo: l’uomo si pente sul rogo ed è quindi tratto dalle fiamme quando è già completamente ricoperto di ustioni, per poi essere ospitato dall’inquisitore stesso, frate Lanfranco. Quest’ultimo registra la morte di Pietro molti giorni dopo (che non possiamo che immaginate avvenuta tra atroci e prolungate sofferenze) insieme al dettaglio delle spese del suo accudimento.
La coerenza del comportamento di frate Lanfranco e il ricordo di quel povero corpo semibruciato sono gli elementi di un binomio esemplarmente significativo: significativo per capire dove aveva condotto (e dove condurrà) la rigorosa applicazione della pratica dell’inquisizione dell’eretica pravità ( «practica inquisitionis hereticae pravitatis»).
Da “Inquisitori e inquisizione nel Medioevo”, G.G. Merlo
Concludendo, direi che questa lettura è stata per me indispensabile e preziosissima per capire meglio tanto la radice, quanto molti dettagli significativi dell’Inquisizione della seconda metà del Duecento fino ai primi anni del Trecento, un tema importante nel mio romanzo storico.
Ed è imprescindibile per chiunque voglia capire qualcosa, e non solo sapere cose, sull’Inquisizione medievale.
Una lettura non semplice, ma fonte di una riflessione anche attuale, che compensa con la sua profondità l’impegno necessario a entrarci.
Il discorso inquisitoriale (…) con le sue ricadute tragicamente concrete è fenomeno del pieno e taro medioevo, cioè si presenta come fenomeno del passato: un passato però con elementi di prossimità, ancora capace di essere problema per la conoscenza e la coscienza contemporanee.
Da “Inquisitori e inquisizione nel Medioevo”, G.G. Merlo
Per sapere qualcosa in più sull’Inquisizione medievale, magari come utile propedeutico per affrontare poi questo saggio di Merlo, consiglio un bel post dal blog Il palazzo di Sichelgaita: Questionario sull’Inquisizione, una serie di informazioni chiare sotto forma di intervista. Buona lettura!
[Se ti è piaciuto il post, dai una chance al romanzo: “La cospirazione dell’inquisitore”, Fanucci editore)